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SALI SUL TRENO CHE CONDUCE A TE STESSO

Sto imparando a non resistere ai cambiamenti anche quando sono difficili.

Nell’anno passato ho imparato a dare ascolto alle parti di me a cui ho sempre cercato di resistere.

Ho guardato le vecchie video registrazioni del mio compleanno dei 2 anni di età e ho visto una bambina che riusciva già a riconoscere e nominare tutte le figure geometriche, finanche il punto e il segmento.

Ho riavvolto il nastro dei miei ricordi degli ultimi 20 anni e ho visto una ragazza che non si è mai data tregua: dalla scuola alla laurea a soli 23 anni; dal primo lavoro a 15 anni con le lezioni di musica passando per innumerevoli impieghi fino a realizzare il grande sogno di diventare terapeuta e aprire un bellissimo centro che aiuta centinaia di persone; da anni e anni in affitto per lasciare la città di origine che mi stava stretta fino a una casa di proprietà nella città che mi ha adottata; dal non sentirsi mai al posto giusto nelle relazioni alla costruzione di una forte sicurezza nell’esserci e nello scegliersi.

Sempre spinta dal bisogno di essere riconosciuta, di sentirmi brava e farmi apprezzare come tale.

A riguardare il mio film sento una grande gratitudine verso ciò che ho fatto per me e allo stesso tempo una profonda stanchezza.

Una stanchezza che ho sempre avuto paura di ascoltare.

E allora mi sono chiesta per quale motivo avrei dovuto negare a me stessa la possibilità di ascoltarmi fino in fondo.

Ho ascoltato la stanchezza e quando ho dato voce alla paura che la sosteneva ho scoperto qualcosa di importantissimo.

Continuare a rincorrere quello standard non mi da più lo stesso brivido.

È come un alimento che sazia solo per qualche ora quando il buco nello stomaco è più profondo.

E la stanchezza mi parla di quanto per me sia diventato obsoleto e meccanico dimostrare quanto sono efficace.

Mi parla di una dimensione ancora più umana dove il fare incontra i ritmi naturali dell’essere, senza sforzo.

Mi dice che non c’è bisogno di affannarsi perché qualche volta deve essere il Vuoto a guidare le intenzioni per permetterci di riallinearci con la nostra bussola interna.

Tutto questo lavoro mi ha portato ad essere meno presente qui nell’ultimo anno, a passare da una giornata lavorativa a volte anche ore 9-21 fino definire un numero preciso e sostenibile di persone da poter seguire in modo da poter dedicare loro tutta la mia energia, rispettando per prima me stessa.

Sto viaggiando sul treno della consapevolezza e del coraggio nell’ascolto e non so dove mi porterà questo viaggio.

In questo passaggio il bisogno superficiale di dimostrare ed essere riconosciuta crolla e lascia spazio ancora di più alla connessione, al piacere di donarmi con coscienza e fare qualcosa di utile per il mondo.

E i cambiamenti di rotta, come i funerali delle parti del proprio Io che diventano zavorre, hanno bisogno di spazio vuoto ed ampio respiro.

La mia prossima fermata coincide con i giorni intorno all’epifania, in cui mi concederò un ritiro di meditazione in completo silenzio e isolamento dal quotidiano.

Non è semplice ascoltare le parti che ci fanno paura. Quando siamo in conflitto ciò che crea più stress, tensione e ansia, non è tanto il contenuto delle paure, quanto più la resistenza e il rifiuto che poniamo nell’ascoltarle.

È come se una parte di noi fosse costantemente impegnata a tenere una fune in tensione e ciò, senza neanche accorgercene, ci prosciuga lentamente le energie.

E così la mia stanchezza mi segnalava un conflitto.

La voglia di liberarmi da alcuni condizionamenti molto antichi che mi fanno spingere l’acceleratore al massimo senza neanche chiedermi “come stai?”

E la paura mi sussurra: “non vorrai mica perdere la tua determinazione e diventare poco efficiente?”

Ma questa volta, invece di girarmi dall’altra parte, ho scelto di ascoltare davvero cosa ha da dirmi la mia paura.

Scelgo di ascoltare cosa ho da dirmi.

Mi ricordo chi sono e mi dico che vale la pena incontrare me stessa, a prescindere dalle mie aspettative di poter trovare qualcosa di piacevole oppure no.

Non vale accertarsi e guardarsi solo nelle parti che ci fanno sentire Ok nel mondo e con noi stessi.

Siamo nati per incontrare ciò che siamo.

Incontrarsi sinceramente libera una grande energia vitale e impegna un forte coraggio.

È il viaggio permanente che percorro ed è il treno su cui anche i miei pazienti salgono, a volte per una breve tappa, altre volte per diventare capotreno.

Così molti di loro, ascoltandosi, incontrano profonde consapevolezze e prendono decisioni molto difficili. A volte anche spaventose che, poco alla volta, li portano ad aprire il loro cuore ed evolvere la loro vita.

Scelgono relazioni più felici, contesti lavorativi più adatti a loro, sigillano finalmente quei “no” così difficili da esprimere.

Ecco il mio augurio per questo nuovo anno:

abbiate il coraggio di prendervi sul serio perché l’unico viaggio che vale la pena intraprendere è quello al vostro fianco.

Il viaggio che vi conduce a voi stessi e restituisce profondo significato alla vostra vita.

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